Tra James Bond, Top Gun la Guerra Fredda

Base Tuono, il sito di lancio di Malga Zonta

Ottanta chilometri, un’oretta di auto, separano i due luoghi-simbolo di quella geniale contraddizione che fu la Guerra Fredda, in Italia, in Europa e nel mondo.

Per riportare indietro le lancette dell’orologio e sentirsi nel vivo della crisi dei missili di Cuba, o tra le righe di un romanzo di Ian Fleming, non serve andare in Colorado ed entrare nel NORAD, l’enorme bunker scavato nelle viscere di Cheyenne Mountain e immortalato in decine di film. Per migliaia di turisti che trascorrono le vacanze in Trentino provenendo dalla Lombardia e dall’Emilia, “Affi” è il nome di una scorciatoia: si abbandona l’autostrada A4 a Peschiera, si imbocca la bretella verso nord e ci si immette nell’A22 del Brennero ad Affi. Senza sapere che a meno di un chilometro di distanza dal casello autostradale e dal centro commerciale, coi suoi addentellati di outlet e fast food, fino agli anni Novanta era attivo il più grande bunker di comando antiatomico NATO d’Europa.

Chi lo cerca non deve avere fretta, deve percorrere quasi per intero la grande rotonda nei pressi del casello, svoltare verso il centro dello splendido borgo di Affi, attraversare le strade punteggiate di villette e graziosi pergolati, e poi dirigersi verso le pendici del monte Moscal, l’altura boscosa alle spalle di Affi. Quando le case lasciano spazio ai campi e ai vigneti, un piccolo slargo dimenticato sulla sinistra rivela un cancello verde, anch’esso invecchiato, e vecchi cartelli di divieto di sosta e di accesso. Oltre quel cancello si intuisce l’edificio di quella che parrebbe la portineria di una qualsiasi azienda ora dismessa, i pennoni per un paio di vessilli, un lampione degli anni Sessanta, la fotocellula per l’automatizzazione dei battenti del cancello, in mezzo a rovi ed erbacce. Sono bastati vent’anni, dalla chiusura definitiva di West Star avvenuta agli inizi degli anni Duemila, per far invecchiare e rendere insignificanti e ancor più nascosti gli ingressi a un luogo già di suo progettato per essere nascosto e invisibile. Si intravede, incassato nel fianco della montagna, un secondo varco che dà accesso all’incredibile struttura sotterranea. Ma oggi non si può andare oltre il cancello di ingresso.

Base Tuono – Chiavi per armare le piattaforme di lancio

Se però si viaggia veloci verso nord in autostrada, si esce nei pressi di Rovereto e si risale oltre Folgaria, a passo Coe dove gli sciatori godono del silenzio ovattato della neve, svettano visibilissimi accanto al laghetto tre missili terra-aria alti tredici metri, pesanti quasi cinque tonnellate, issati coi loro quattro booster sulle rampe di lancio. Risalgono anch’essi agli anni Sessanta, e sembrano anch’essi tratti da un film di spionaggio con Michael Caine o Sean Connery. Sono dei SAM – Surface Air Missile, missili “terra-aria” come quelli che turbinano in una movimentatissima scena di Top Gun Maverick. A differenza di quelli, questi Nike Hercules non inseguivano il nemico da abbattere ma lo anticipavano, teleguidandosi verso un punto di impatto frontale. Ma la sostanza non cambia. In un hangar accanto riposa, elegantissimo e minaccioso persino da fermo, un F-104 “Starfighter”, il caccia supersonico simbolo della Guerra Fredda nei cieli. Fuori garriscono le bandiere e, a differenza del bunker di Affi, qui oggi si può e anzi si deve entrare: il sito di lancio di Malga Zonta si chiama oggi “Base Tuono”, è stato trasformato in un museo, e offre un percorso di visita preziosissimo soprattutto per le scuole: tante scelte didattiche discutibili relegano la storia del Novecento (come purtroppo la letteratura) in fondo ai “programmi”, e sempre più spesso fatti decisivi per capire il nostro mondo non vengono affrontati. In terza media si arriva alla fine della Seconda Guerra Mondiale, in quinta superiore forse – dico forse – un pochino più in là. Vietnam, Corea, crisi di Berlino, crisi di Cuba, conflitti medioorientali, il conflitto nella ex Jugoslavia sono lasciati alla cinematografia e derubricati a cronaca. Una visita a “Base Tuono”, una delle dodici basi Nike dislocate nel Nord-Est, in previsione e a deterrenza di un’eventuale incursione sovietica dai cieli dell’Est, colma moltissime di queste colpevoli lacune.

 F-104 “Starfighter”, il caccia supersonico simbolo della Guerra Fredda nei cieli

A “West Star”, invece, fatta salva qualche iniziativa recente del FAI, non si può entrare. Tocca immaginarsi, da fuori, il fascino e il mistero di quanto giace ora inerte e del brulichio di tensione che fremeva nei 13mila metri quadrati delle sue gallerie quando era in attività: una galleria lunga un chilometro taglia a metà il ventre del monte Moscal. A metà del suo tragitto si dirama la struttura vera e propria del bunker: tre gallerie affiancate, come tre enormi sommergibili, ospitavano le strutture del centro di comunicazione FTASE – “Forze Territoriali Alleate del Sud Europa”, con sede a Verona, e della Quinta ATAF – “Allied Tactical Force” di Vicenza (ma anche refettorio, bar, infermeria, palestra e persino un barbiere). Sede dell’AOC – “Air Operation Center”, dalla sua War Room controllava ogni movimento delle forze del Patto di Varsavia, cercando di prevenire, scongiurare o, se necessario, controbattere un’invasione delle truppe con la stella rossa attraverso la cosiddetta “Soglia di Gorizia”. Per i militari e i civili che vi lavoravano era semplicemente “il Buco”. In caso di conflitto avrebbe potuto dare rifugio a quasi cinquecento persone per almeno due settimane.

In Italia e in Europa non si trova nulla di simile, né per grandezza né per importanza. Non il bunker NATO Proto nel monte Massico, vicino a Napoli, e nemmeno il bunker mussoliniano prima e poi Alleato del Monte Soratte.

Strutture simili a West Star, anche se più piccole, sono nascoste sotto due colline in Belgio: sopra la prima, il bunker del Kemmelberg, corre la stradina lastricata in pavè dalle pendenze leggendarie che fa selezione ad ogni edizione della Gand- Wevelgem, sopra la seconda, il Cannerberg, vicino a Maastricht, che ospitava il quartier generale NATO “NORTHAG” – Northern Army Group”, passa un’altra importante gara ciclistica, l’Amstel Gold Race.

Entrambi questi bunker sono oggi aperti al pubblico e visitabili. E West Star?

È di questo gennaio la notizia che la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza ha avviato ufficialmente l’iter per la dichiarazione dell’interesse culturale dell’ex base NATO in quanto “rilevante esempio di architettura militare novecentesca”. «Il rifugio – scrivono gli uffici – […] rappresenta un’importante testimonianza per la storia politica e militare italiana, imponendosi tra i più vasti sistemi fortificati sotterranei del mondo ed eletto tra le strutture militari di natura strategico-difensiva più significative compiute nel periodo della “Guerra Fredda”».

Il riconoscimento del vincolo monumentale permetterà l’accesso ai fondi italiani ed europei e dare seguito al progetto di recupero e musealizzazione che il Comune di Affi ha affidato a Michelangelo Pivetta, docente di Composizione Architettonica e Urbana dell’Università degli Studi di Firenze, secondo i dettami dei Ministeri della Difesa e della Finanza che, nell’atto di cessione del sito al Comune di Affi, hanno inscritto il vincolo alla sua destinazione museale.

Base Tuono. Console per il comando delle piattaforme di lancio
Base Tuono. Telefono di collegamento tra Centro comando di Monte Toraro e bunker lancio della base

Allora sì che si potrà togliere quella cortina di segretezza che ancora copre molti dei luoghi in cui è stata garantita la pace al di qua e al di là della Cortina di Ferro, in un gioco di mistero ed esibizione, informazione e disinformazione, che forse è il vero fil rouge di quella che i libri ancora chiamano “Guerra Fredda”. Tra West Star e Base Tuono queste contraddizioni si colgono in maniera lampante: da una parte il bunker all’interno del quale non si contavano i cartelli che intimavano di parlare a bassa voce “perché il nemico può sentire”, di memorizzare le combinazioni senza scriverle su alcun pezzo di carta, la struttura dove l’aria riemessa all’esterno veniva raffreddata per evitare che qualche velivolo dotato di apparecchi termografici potesse cogliere le emissioni e individuare il bunker (ma poi circolavano decine di autovetture targate “AFI”, che non era un errore di ortografia ma l’acronimo rivelatore “Allied Force Italy”, e allora tanto valeva!) . Dall’altra le installazioni come quella di malga Zonta (ma anche, e ancor più, data la dimensione dei missili, quelle degli Jupiter in Puglia) con i razzi ben dardeggiati verso il cielo, visibili da chiunque, ostentati addirittura. “Truccati”, proprio perché si sa che venivano osservati: per far credere che tutti i missili fossero armati con dotazione nucleare e non semplicemente tattica, i tecnici delle batterie Hercules infilavano su qualsiasi missile l’involucro di protezione della sonda barometrica che era montata solo sui missili dotati di testata nucleare. Più che sul cosiddetto equilibrio del terrore dato dalla deterrenza nucleare, la tensione tra le due superpotenze si mantenne in bilico grazie a questo gioco sottile di esibizione e segretezza: «Noi sappiamo che il nemico sa che noi sappiamo che lui sa». E viceversa.

Forse non aveva torto Ken Adam, lo scenografo dei primi film di 007, nel disegnare i suoi interni tra il futuristico e il grottesco, né John Badham nell’intitolare Wargames “Giochi di guerra” il suo famoso film del 1983, ambientato proprio al NORAD. È questo “gioco” a coprire e scoprire, senza nulla togliere, naturalmente, alle capacità politiche e alla coscienza morale degli uomini e delle donne che hanno avuto nelle mani le sorti del mondo, che ha mantenuto per ottant’anni, dal ’46 ad oggi, la nostra Europa in una specie di stato di equilibrio da giocolieri che a noi piace chiamare “pace”.

L’ingresso del bunker di Affi

Il romanzo

Quante volte il mondo è stato sulla soglia di un conflitto che sarebbe stato l’ultimo? Mentre nelle gallerie del più grande bunker di comando antiatomico NATO su suolo europeo ai tempi della Guerra Fredda una talpa fa il doppio gioco, nei dintorni della base missilistica “Nike” più alta d’Europa un fotografo documenta l’installazione delle rampe di lancio degli “Hercules”. Nei cieli e tra i boschi del Trentino l’avventura della pace e l’avventura dell’amore si rincorrono, in un tesissimo romanzo di spionaggio, nella migliore scia di Ian Fleming e Ken Follett. Agli stilemi del genere, padroneggiati con disinvolta confidenza, Motta aggiunge una sua sfumatura più intima e drammatica, che spiazza e sorprende più del più perfetto dei colpi di scena.

Stefano Motta, “Stati di equilibrio apparente”, pag. 260, € 15 (Edizioni del Faro, coll. Solenoide)

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Pubblicato da Stefano Motta

Stefano Motta scrittore e saggista, ha pubblicato numerosi titoli di narrativa per ragazzi. Studioso dei "Promessi Sposi" e del mondo religioso del Seicento, già direttore artistico del Maggio Manzoniano Merate, è socio onorario della Pontifica Academia Mariana Internationalis della Città del Vaticano, e membro della Giuria Tecnica del Premio Letterario Internazionale "Alessandro Manzoni". Con Einaudi Ragazzi è uscito nel 2019 il delicato romanzo "Lale" e con Giovane Holden il thriller storico "Le armi dei vinti". Con Edizioni del Faro ha pubblicato il romanzo "Di vento forte", la raccolta di racconti "Latte e Ghiaccio" e "Mascarpone e altre storie". Il suo ultimo romanzo è "Stati di equilibrio apparente" (Edizioni del Faro)