Vi leggo le mie “lettere dalla fine del mondo”

Giorgio Vallortigara è professore di Neuroscienze presso il Centre for Mind-Brain Sciences dell’Università di Trento, di cui è stato anche direttore. Per vari anni Adjunct Professor presso la School of Biological, Biomedical and Molecular Sciences dell’Università del New England, in Australia. È autore di più di 250 articoli scientifici su riviste internazionali (con oltre 17.000 citazioni) e di alcuni libri a carattere divulgativo 

Professore, ci racconta come e perché si è avvicinato allo studio del cervello e del comportamento? 

Da ragazzo rimasi colpito dal libro di Konrad Lorenz “L’altra faccia dello specchio” in cui veicolava l’idea che lo studio della biologia del comportamento fosse il modo giusto per trovare una risposta alla domanda che più mi interessava: qual è l’origine della conoscenza? Psicologia sperimentale, a Padova, aveva pochissimi iscritti, all’interno vi era “Psicologia animale e comparata”. Proprio quello che cercavo! Il docente, che divenne mio maestro e mentore, Mario Zanforlin, arrivava da Edimburgo. Mi lasciò libero di seguire i miei interessi: lui si occupava solo di comportamento, mentre io volevo sapere anche che cosa succede dentro la scatola nera, nel cervello. Così mi spedì in Gran Bretagna, all’Università del Sussex, per imparare la neurobiologia. Lì c’era un suo collega, Richard Andrew, che divenne il mio secondo maestro, e mi fece diventare un neuroscienziato. 

Perché studiare la complessità del funzionamento cerebrale attraverso una scienza sempre più interdisciplinare?

Quando ero nel Sussex la parola “neuroscienze” ancora non veniva usata, il laboratorio in cui lavoravo si chiamava “Ethology and Neurophysiology Group”; fu introdotta proprio in quegli anni, quando nacque il Sussex Centre for Neuroscience. Oggi la neuroscienza è una disciplina in cui convergono metodiche e tecnologie variegate, lo studio del comportamento e la biologia molecolare, l’anatomia e l’etologia, la neurofisiologia e i metodi computazionali, la psicologia e la neurochimica… Lo studio del cervello e dei suoi prodotti, i processi mentali, richiedono proprio un approccio integrato di questo tipo.

In quale campo di ricerca opera principalmente? 

Il medesimo di quand’ero ragazzo: cosa c’è nel cervello di un organismo alla nascita? In che modo può ottenere una conoscenza del mondo? Le specifiche conoscenze di cui mi sono occupato riguardano soprattutto la rappresentazione degli oggetti, dello spazio e del numero. Ho anche studiato a lungo l’origine dell’asimmetria del cervello, il fatto cioè che la parte destra e sinistra del sistema nervoso svolgano funzioni in parte diverse. 

È riuscito a dare contributi innovativi di grande rilevanza internazionale: è stato il primo a fornire prove sulla lateralizzazione funzionale nel cervello degli uccelli. Potrebbe spiegarci in poche battute di cosa si tratta?

Come le dicevo, si tratta del fatto che le metà destra e sinistra del cervello svolgono funzioni diverse. Quando ho iniziato a occuparmene si pensava che l’asimmetria – o ‘lateralizzazione’ del cervello – fosse una caratteristica esclusiva della nostra specie. Poi con Richard Andrew e con Lesley Rogers, una collega australiana con cui collaboro da una vita, abbiamo osservato che capacità cognitive molto sofisticate, come il riconoscimento individuale, è lateralizzato nel pulcino nell’emisfero destro (come accade per il riconoscimento dei volti nella nostra specie). E poi ancora con Lesley abbiamo documentato per primi asimmetrie cerebrali nei pesci e negli anfibi. Negli ultimi anni mi sono occupato anche del cervello degli insetti (che, sì, esso pure è asimmetrico e lateralizzato).

All’attivo ha un numero davvero notevole di pubblicazioni. Quanto è importante la divulgazione della conoscenza e della ricerca? 

Penso sia doveroso raccontare il senso e i contenuti del nostro lavoro; gli scienziati possono fare quello che fanno grazie alle tasse che pagano i cittadini. Faccio una cosa diversa da quello che potrebbe fare un giornalista scientifico: io racconto le mie ricerche in modo che siano comprensibili a chiunque.

Nel suo “La mente che scodinzola”, sostiene sia sbagliata la concezione secondo cui esisterebbe una sorta di scala delle creature viventi, con ai gradini più bassi quelle con i cervelli meno complessi ed evoluti.

Sì, è una concezione sbagliata dell’evoluzione biologica. Tutti gli animali che vivono oggi sulla Terra sono egualmente evoluti. I cervelli delle diverse specie, poi, non sono migliori o peggiori, né più o meno evoluti. Semplicemente sono diversi, perché diversi sono stati i loro adattamenti alle differenti nicchie ambientali. Tutto qui.

Professore, sostiene che “molti animali sono più intelligenti di noi”. Esattamente, in quali termini? 

Il fatto è che “intelligenza” è un termine troppo generico, prescientifico potremmo dire. Riconoscere i volti non è come orientarsi nello spazio, leggere un testo non è come stimare la numerosità di un gruppo di conspecifici… L’intelligenza è fatta di tante specifiche computazioni, calcoli che il sistema nervoso deve compiere. Ci sono animali molto dotati per certi specifici calcoli, come ad esempio orientarsi nello spazio, che mostrano tuttavia prestazioni del tutto anodine in altri. Vale anche per noi, che abbiamo le nostre specializzazioni ma che non sapremmo ricordare le migliaia di nascondigli nei quali una nocciolaia ha nascosto in un bosco le sue provviste.

Uno dei suoi ultimi libri, “Lettere dalla fine del mondo” (La nave di Teseo) si presenta come un epistolario a due voci, con lo scrittore Massimiliano Parente. Può spiegarci il titolo?

Massimiliano è un caro amico con un grande interesse per la scienza, mentre io ho una vera passione per i libri e per la letteratura. Il titolo si riferisce ovviamente alla nostra finitudine, e al fatto che la scienza (ma anche l’arte, secondo Massimiliano) non ci offrano alcuna risposta alle domande sul senso della vita. Il libro ha avuto successo devo dire e questo mi ha fatto un enorme piacere. 

Come è stato scrivere di cose serissime con ironia e garbo, non solo nel proprio ambito ma anche nel campo dell’interlocutore?

Direi che è stato piacevolissimo. Per molti aspetti l’ottica di Parente e la mia sono complementari, si sostengono vicendevolmente. Leggere le lettere di Massimiliano è stato anche un poco sbirciare nel laboratorio di un artista, cercare di capire i trucchi e i vezzi di un maestro. Magari per riuscire davvero un giorno a fare lo scrittore.

Attorno alle domande profonde della vita, la scienza viene interrogata continuamente. Eppure, nel quotidiano, il metodo scientifico pare incidere poco o in maniera tutt’altro che definitiva. Perché, secondo lei?

Perché i nostri cervelli sono pieni zeppi di modi di operare stereotipati, di bias, li chiamano gli scienziati cognitivi, che sono il portato del modo di funzionare della selezione naturale, e che hanno perciò una ragione d’essere in termini di sopravvivenza e riproduzione differenziale. Sono scorciatoie per il pensiero, euristiche che nella maggior parte dei casi si rivelano efficaci. Ma il metodo scientifico richiede di contrastare gli stereotipi, di andare attivamente alla caccia di ciò che può mettere in dubbio le nostre ipotesi. E questo è difficile, richiede allenamento. 

Tema ricorrente nelle lettere di Parente è l’affondo alle religioni, che secondo lo scrittore hanno remato contro ogni progresso.  

Ciascuno può cercare, se lo ritiene sensato, di far convivere le illusioni della religione con la nostra comprensione scientifica del mondo. A me pare che il gioco non valga la candela, molto meglio riconoscere eroicamente che la nostra esistenza non ha alcun senso. Siamo qui ai margini dell’universo in una galassia minore, frutto della contingenza, macchine per la sopravvivenza di certe molecole che fanno copie di sé stesse in modo cieco, senza scopo. Fino a quando tutto sarà finito.

C’è una domanda nel libro, a mio avviso molto importante, ovvero se la comprensione scientifica della natura sia in grado di alterarne la bellezza, distruggerne la poesia. 

Nel libro rispondo con la celebre battuta di Umberto Eco: pensate che i ginecologi non si innamorino? O, aggiungerei io, che ai fisici che studiano l’ottica non piacciano gli arcobaleni? O che ai neurobiologi, come me, non piaccia il sapore del caffè? 

Il suo ultimo libro, uscito alla fine di febbraio, ha un titolo molto curioso “Pensieri della mosca con la testa storta” (Adelphi). Di che si tratta?

Il libro espone una nuova teoria sull’origine della coscienza, sul perché a un certo momento anziché semplicemente rispondere a uno stimolo in maniera appropriata dal punto di vista del comportamento alcuni organismi hanno iniziato a sentire, a provare qualcosa, ad avere esperienze. La mosca del titolo si riferisce a un originale esperimento condotto da un collaboratore di Konrad Lorenz, il fisiologo Erich von Holst. Mi consenta di lasciare però insoddisfatto l’interesse dei potenziali lettori: l’idea del libro è che alla base della comparsa della coscienza ci sia un meccanismo neurologico molto semplice, che è poi il medesimo che spiega perché non ci si possa fare il solletico da soli. 

Chi è Giorgio Vallortigara quando sveste i panni dello scienziato?

Temo di non aver nulla di interessante da dire: per le persone come me la vita è un tutt’uno con il lavoro. Borges diceva, cito a memoria e quindi potrei essere gravemente in errore: “I miei amici sono davvero amici perché non mi chiedono mai nulla della vita privata, per loro la vita privata è davvero privata; e in questo modo ci resta il tempo per parlare delle cose che contano, dell’amicizia, dell’amore e della morte”.

Massimiliano Parente e Giorgio Vallortigara

Un sogno nel cassetto

“Uno degli scienziati che ho sempre riconosciuto tra i miei maestri è stato Valentino Braitenberg, cibernetico e neuroanatomista, nato a Merano, e per molti anni direttore dell’Istituto Max Planck per la Cibernetica Biologica a Tubinga, in Germania. Valentino ha mantenuto tra l’altro un rapporto stretto con Rovereto, dove vivo e dove si trova il mio laboratorio, al CIMeC. Coltivo il sogno di creare, magari proprio qui in Trentino, un piccolo istituto di ricerca intitolato al suo nome, dedicato allo studio dei processi che possono produrre intelligenza e coscienza, studiando animali con sistemi nervosi super-semplici e miniaturizzati, come quelli che usava Valentino per cercare di riprodurne le funzioni in semplici robot cibernetici. Chissà, magari, in tempi migliori troverò dei mecenati interessati a finanziare questo nuovo istituto di neuro-cibernetica!

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Pubblicato da Denise Fasanelli

Mamma insonne e sognatrice ad occhi aperti. Amo la carta, la fotografia e gli animali. Ho sempre bisogno di caffè. Non ho bisogno di un parrucchiere, d’altronde una cosa bella non è mai perfetta. Ho lavorato nel campo editoriale, della comunicazione e mi sono occupata di marketing per alcune aziende. Ho pubblicato un libro insieme all’ex ispettore Pippo Giordano: “La mia voce contro la mafia”(Coppola ed. 2013). Per lo stesso editore, ho partecipato, in memoria dei giudici Falcone e Borsellino, al libro “Vent’anni” (2012) con un racconto a due mani insieme all’ex giudice Carlo Palermo.