Chiamatemi col mio nome

C’è chi la chiama disagio psichico, forse per esorcizzare l’impatto emotivo che il termine malattia mentale continua ad evocare nell’immaginario collettivo. Ma quando disturbi del comportamento o ingiustificati sbalzi d’umore (per citare altri eufemismi) entrano a far parte della tua vita, che riguardino te o un tuo congiunto, possono stravolgerla, renderla irriconoscibile.

Possono rappresentare una vera catastrofe. I dati ci dicono che la malattia mentale (non spaventiamoci a chiamarla per nome!) sta soppiantando ai vertici delle classifiche delle cause invalidanti o di morte prematura le patologie oncologiche e cardiovascolari (rapporto del 2015 dell’Agenzia italiana del farmaco). Oltretutto si presenta spesso all’improvviso, in modo subdolo, si maschera da stress (riferimento buono per ogni incompetenza!) e sei quasi sempre impreparato ad affrontarla. Non ci sono esami di laboratorio, lastre o tac che possano confermare la diagnosi. C’è solo la devianza da comportamenti ritenuti “normali” (da chi?) a denunciare uno squilibrio. E c’è la profonda sofferenza, quella sì molto reale e spesso inascoltata, di chi il malessere lo vive sulla propria pelle. O, meglio, nella propria anima.

Un’altra particolarità della malattia mentale è il carattere altamente “democratico” della sua diffusione: può colpire chiunque, a qualunque età, senza distinzione di censo, genere o cultura.

Filippo, sedici anni, studente liceale dà segnali di una certa svogliatezza: “sarà una crisi passeggera, adolescenziale…”, pensano i genitori.. Quando comincia a rifiutarsi di uscire di casa, iniziano a preoccuparsi: pensano a qualche episodio di bullismo a scuola e lo esortano pacatamente ad affrontare il mondo. Ma quando devono tenergli i polsi per impedirgli di colpirsi con violenza si decidono a consultare uno specialista. Qui scoprono che non esistono strutture specifiche per quell’età: tra la neuro-psichiatria infantile e la psichiatria per adulti non c’è nulla per la “difficile” età intermedia (una lacuna che dovrebbe essere colmata!). Tuttavia, attraverso una tempestiva presa in carico da parte del Centro di Salute mentale territoriale e di professionisti decisamente preparati, Filippo intraprende un efficace percorso di cura e riabilitazione; impara a conoscersi e si attrezza per affrontare il mondo; i suoi genitori imparano a gestire situazioni critiche senza bisogno di “tenergli i polsi”.

Teresa, casalinga e madre di famiglia con i figli ormai “fuori dal nido”, scopre una mattina di non aver voglia di alzarsi dal letto. Una stanchezza senza fine spegne i colori del mondo, la vita fa paura, non ha più stimoli né motivazioni: “passerà, sarà un momento di stanchezza…” si dice. Il medico di base la cura per esaurimento, ma quella spossatezza non passa, finché un giorno, racimolate le ultime energie, tenta il suicidio! Viene salvata da un TSO (trattamento sanitario obbligatorio) e ricoverata in psichiatria. Da lì, una volta dimessa, inizia un lungo percorso al Centro di Salute mentale: alla sua “stanchezza” viene dato un nome, con esso la “dignità” di malattia e, soprattutto, una cura farmacologica e una proposta di attività per il recupero di capacità e autostima. È difficile poter dire se è guarita, ma si può affermare che la convivenza con la propria patologia è diventata accettabile. La conoscenza della malattia e dei sintomi, dei segnali che ne preannunciano le crisi, dei farmaci e del loro utilizzo, delle attività di socializzazione volte a recuperare una certa armonia con se stessi ed il mondo esterno, aiuta lei ed il marito a gestire insieme quella “brutta bestia”.

Alberto, un brillante professionista nel fiore degli anni, impegnato instancabilmente su vari fronti, esigente con se stesso e con i collaboratori… un brutto giorno “scoppia”, non regge il ritmo, le gambe non lo sorreggono. Gli consigliano di consultare il Centro di Salute mentale, ma lui non ci crede, si vergogna: non è pazzo! Ma sta troppo male e, escogitando strategie per non essere notato, finalmente compie il passo fatidico: entra in quella “gabbia di matti”! La diagnosi è sindrome bipolare: periodi da supereroe si alternano ad altri di profonda depressione. C’è la cura, ma c’è soprattutto da imparare a gestire le forze, ad ascoltare i propri limiti, a non vergognarsi delle fragilità. Adesso, dopo un percorso di consapevolezza, oltre ad aver ripreso il proprio lavoro, Alberto svolge attività di volontariato al CSM.

C’è più di un filo comune che lega queste tre testimonianze. È la difficoltà a riconoscere la malattia mentale, anche da parte della medicina di base. È la difficoltà della diagnosi e della ricerca della cura più efficace. È la difficoltà di accettarla, di superare lo stigma che l’accompagna e che condiziona lo stesso paziente. Ma è anche la risorsa della consapevolezza e del protagonismo.

La rivoluzione basagliana (Legge 180/79), con l’apertura dei manicomi, decreta che la malattia mentale non è più qualcosa da cui la società deve difendersi, segregando i “matti”. Il malato mentale torna ad essere una persona che ha bisogno di cure.

La mentalità della gente, però, non si modifica a colpi di decreto. Così, complici anche i ritardi attuativi della norma (è solo del 1999 il primo – e finora unico – decreto che detta, peraltro in modo non vincolante, i criteri organizzativi delle strutture territoriali), la malattia mentale viene spesso ricondotta ad aspetti caratteriali o legati alla volontà.

Quante volte, pur con le migliori intenzioni, il depresso viene esortato a “tirarsi su”… come dire a chi cade nelle sabbie mobili di venirne fuori! Quante volte la stanchezza di vivere viene derubricata ad una pretesa di attenzione, a un capriccio esibizionista! Oltretutto, con questi giudizi viene alimentato quel senso di colpa che accompagna sovente chi già si sente fragile e inadeguato nei confronti di modelli sociali altamente competitivi. Un senso di colpa che aumenta l’auto-stigma ed il malessere complessivo.

Il ruolo della società nella dimensione territoriale della salute mentale diventa un fattore determinante, soprattutto per le fasi di prevenzione e riabilitazione in cui si articola il servizio. Tra i compiti dei Centri di Salute mentale dovrà essere sempre più presente il coinvolgimento delle reti istituzionali e di volontariato per costruire un ambiente sociale attento alle fragilità, capace di operare primi interventi di indirizzamento e di contribuire attivamente al percorso di integrazione, favorendo l’accoglienza e l’inserimento lavorativo. C’è ancora tanto da fare! Troppe sono ancora le denunce che ci raccontano di chiusure e pregiudizi nei confronti del vicino di casa dimesso dalla psichiatria o, ancor di più, verso un dipendente giudicato a priori “poco affidabile”.

La realtà trentina, anche in questo campo, è da considerare all’avanguardia per le innovazioni introdotte da diversi anni, scommettendo sul protagonismo di utenti e familiari inseriti nell’area del fareassieme. Tra queste, c’è una squadra di utenti, familiari e operatori che svolge opera di sensibilizzazione nelle scuole e all’interno di iniziative pubbliche, offrendo l’opportunità di venire a contatto con esperienze di vita vera. Inoltre, una squadra di UFE (utenti e familiari esperti) svolge attività di “supporto tra pari” nei confronti delle persone che si rivolgono al CSM. Mettono a disposizione la propria conoscenza esperienziale per agevolare l’accoglienza in una struttura che, a torto o a ragione, suscita diffidenza. Ma anche per supportare gli operatori nella gestione di crisi particolari; per svolgere ruoli di garante nei rapporti sociali o lavorativi; per facilitare i gruppi di auto-mutuo-aiuto; o condurre attività come l’arte-terapia, danza, teatro, scrittura creativa, ecc.

Non è un caso che proprio in questo ambiente sia maturata l’iniziativa, promossa dalla Onlus “Il Cerchio-Fareassieme” (convenzionata con l’Azienda sanitaria per affiancare gli operatori pubblici nella gestione delle aree di inserimento abitativo e lavorativo, nonché di socializzazione e recovery), di una pubblicazione che, partendo dalle esperienze di utenti e familiari, ha cercato in modo costruttivo di delineare un Servizio di salute mentale ideale (Psichiatria da protagonisti).

Purtroppo, come in tutte le imprese umane, ci sono ancora troppi dolorosi fallimenti. Quando non si arriva a tempo o quando le terapie tardano a dare risultati, oppure quando sfuggono al controllo gli effetti indesiderati dei farmaci. La psichiatria non è una scienza esatta e necessita sempre più di approcci interdisciplinari, di consulti medici e del protagonismo attivo del paziente. La strada da seguire, nonostante gli insuccessi, resta quella del rispetto reciproco, del confronto aperto e paritario tra il professionista e chi vive di persona l’esperienza del disagio.

C’è un altro aspetto della malattia mentale che, per concludere, merita una riflessione. L’esperienza del forzato confinamento per la pandemia che, tra l’altro, ha prodotto un’impennata delle psicosi, specie giovanili, ci conferma come fattori sociali e qualità delle relazioni incidano sulla salute mentale. È come dire, ribaltando i termini, che lo stato della salute mentale può fungere da campanello d’allarme per stabilire il livello di “sostenibilità sociale”. In altre parole: ascoltare la sofferenza delle persone più fragili o, semplicemente, più sensibili può aiutare a correggere modelli di sviluppo che, nella rincorsa ad un consumismo sfrenato, perdono sempre più di vista i valori umani della solidarietà e della gentilezza.


Utenti in carico al Servizio di Psichiatria della P.A.Trento nel 2022 (grafico 1) e con primo accesso nel 2022 (grafico 2) per genere ed età. (Si ringrazia APSS Trento – Dipartimento Salute Mentale)

La prossima grande “epidemia”

Secondo un rapporto dell’Harvard School of Public Health e del World Economic Forum, recentemente ripreso dall’Economist in un articolo intitolato “Mental illness. The age of unreason”, tra il 2011 e il 2030 il costo delle malattie mentali in tutto il mondo sarà di oltre 16 trilioni di dollari in termini di mancata produzione (in dollari 2010), più di patologie oncologiche, cardiovascolari, respiratorie croniche e del diabete.

I disturbi mentali, intesi sia come patologie psichiatriche quali ansia, depressione o disturbi bipolari, che neurologici, come Alzheimer e demenze, sono già nei Paesi ad alto reddito la principale causa di perdita di anni di vita per morte prematura e disabilità (17,4%), seguiti dal cancro (15,9%), dalle malattie cardiovascolari (14,8%), dagli infortuni (12.9%) e dalla malattie muscolo-scheletriche (9,2%).

Secondo i dati forniti dall’OCSE, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, nel suo focus “Fare i conti con la salute mentale”, la depressione grave, il disturbo bipolare, la schizofrenia e le altre malattie mentali gravi riducono la speranza di vita in media di 20 anni rispetto alla popolazione generale, in modo analogo alle malattie croniche come le malattie cardiovascolari. Il 5% della popolazione mondiale in età lavorativa ha una severa malattia mentale e un ulteriore 15% è affetto da una forma più comune. Una persona su due, nel corso della vita, avrà esperienza di un problema di salute mentale e ciò ridurrà le prospettive di occupazione, la produttività e i salari.

Il libro

Perché non chiedere direttamente a utenti e familiari coinvolti nella salute mentale di progettare un loro Servizio ideale? È l’idea, per certi versi rivoluzionaria, da cui nasce questo libro, che raccoglie testimonianze e proposte di quanti vivono il disagio sulla propria pelle e si presenta come frutto di un lavoro di scrittura collettiva (nello stile di Mario Lodi e don Milani). Nessun aspetto viene trascurato: dalla presa in carico da parte di un Centro di Salute Mentale all’importanza della prima accoglienza, del rapporto con gli operatori e degli aspetti ambientali e organizzativi; dalle strategie di prevenzione ai temi delicati della cura e della guarigione sociale; dalle sofferenze legate allo stigma alle azioni concrete per informare e sensibilizzare la cittadinanza, creando così una rete integrata sul territorio. Un libro rivolto non soltanto a chi è impegnato, a vario titolo, nel mondo della salute mentale, ma anche a una platea più ampia di lettori interessati a conoscere, da dentro, una realtà con un’incidenza sociale sempre più elevata.

Paolo Giovanazzi e Andrea Puecher, Erickson, pag. 224, Euro 20. Acquistabile sul sito psichiatriadaprotagonisti.com, in libreria e all’area fareassieme del Csm di Trento. 

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Pubblicato da Stefano Ricci

Nato a Siena a metà '900, ha girato mezza Italia al seguito della famiglia. A Venezia ha conosciuto l'amore, a Trento ha messo su casa. Laurea in Sociologia, lavoro nella pubblica amministrazione, impegno politico come passione. Adesso, pensionato e nonno, continua a contrastare come può l'ingiustizia e l'indifferenza con le sue armi migliori: la scrittura e l'immaginazione.