L’ultima epidemia dell’umanità

Quando gli archeologi del futuro troveranno i nostri resti faranno alcune interessanti scoperte. Sotto enormi coltri di cemento, ferro e misteriosi materiale plastici oramai polverizzati faranno raccogliere da aiutanti robotizzati i campioni di frammenti ossei e li inseriranno in certi macchinari a forma di forno a microonde. A quel punto la tecnologia sarà talmente avanzata da consentire loro di risalire praticamente a tutto. Scandaglieranno il dna, ricostruiranno il percorso terreno, i sentimenti, le traversie, perfino le fattezze grazie a certe strabilianti stampanti 3D. Sapranno tutto di noi: dei livelli di colesterolo, il numero di batteri che abitarono nel nostro corpo, i virus che ci attaccarono, i desideri, le gioie, i dispiaceri che ci ferirono nel più profondo del cuore. 

Eppure qualcosa sfuggirà all’onnisciente indagine. Qualcosa che lì per lì indurrà gli archeologi a guardarsi di sottecchi, lanciandosi sguardi interrogativi. Una caratteristica di quei lontanissimi antenati riuscirà a sottrarsi alla fitta trama di analisi, esami e approfondimenti. Un’inclinazione, un atteggiamento particolare, ipotizzerà qualcuno. Oppure una malattia debellata da secoli. Gli uomini e le donne della seconda preistoria risulteranno affetti – apposite analisi lo confermeranno – da un morbo sconosciuto a cui verrà dato il nome provvisorio di “insoddisfazione”. È questo il malanno – così scriveranno nella relazione finale gli archeologi – che dovette portarli all’estinzione. Avevano tutto l’occorrente per vivere in armonia, eppure decisero di inventare nuovi bisogni e necessità, fino ad allora sconosciute, per la cui soddisfazione occorreva un’accelerazione spropositata dei ritmi di vita, che a quel punto andava sganciata dai cicli della Natura. In più smisero di accontentarsi della realtà oggettiva assumendo il vezzo di fabbricarne di alternative, alcune invero molto fantasiose. Pertanto inseriamo questa “insoddisfazione” nel catalogo delle malattie letali, in modo da scongiurarne una nuova epidemia, per il bene nostro e per quello dei nostri amatissimi figli.

direttore@trentinomese.it

Condividi l'articolo su:
Avatar photo

Pubblicato da Pino Loperfido

Autore di narrativa e di teatro. Già ideatore e Direttore Artistico del "Trentino Book Festival". I suoi ultimi libri sono: "La manutenzione dell’universo. Il curioso caso di Maria Domenica Lazzeri” (Athesia, 2020) e "Ciò che non si può dire. Il racconto del Cermis" (Edizioni del Faro, 2022). Nel 2022 ha vinto il premio giornalistico "Contro l'odio in rete", indetto da Corecom e Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige. Dirige la collana "Solenoide" per conto delle Edizioni del Faro.