Ma davvero i giovani non hanno voglia di lavorare?!

Una cara amica, davanti a un aperitivo color del tramonto, mi racconta le vicissitudini del figlio ventenne – categoria anagrafica “Millennials” – alla ricerca di un’occupazione stabile. Bella storia! E tante chiavi di lettura, con una miriade di implicazioni politiche, sociali ed economiche. La cronaca, anche quella locale, ci racconta spesso di aziende che non riescono a trovare personale soprattutto nei periodi turistici, come quelli invernale ed estivo. La motivazione? I giovani non hanno voglia di lavorare la sera e nei fine settimana, pretendono il giorno di riposo e avanzano richieste economiche, rifiutando compensi di pochi euro all’ora. Davanti a questo tipo di offerte, sono gli stessi boomer – i genitori, per intenderci – a sostenere i loro ragazzi, incoraggiandoli a trovare qualcosa di meglio. Insomma un lavoro che, a livello di impegno e di orari, limiti molto la vita sociale e privata, risulta poco gradito. E se pagato poco o sotto pagato, ancora meno. E sul territorio come siamo messi? Esistono molte agenzie interinali, che agiscono da intermediario tra il candidato e l’azienda. Dopo aver messo al vaglio capacità e competenze, visionato ed eventualmente aggiornato il curriculum e sondato attitudini e inclinazioni, si passa allo step successivo, il colloquio con il responsabile del personale. E qui comincia il racconto/esperienza del figlio della mia amica. Si rivolge a tre grandi ditte che hanno le loro attività nella zona industriale Nord di Trento, a Spini di Gardolo. Una lo fa entrare dopo poco tempo, ma con contratto a chiamata. Che significa: a seconda del bisogno. Succede dunque che tu puoi lavorare per intere settimane e poi stare a casa per un po’ e poi magari riprendere. Un sistema difficile da mantenere perché non offre regolarità, non dà garanzie per il futuro, non permette di crearsi obiettivi a lungo termine (vivere da soli, macchina eccetera). Nelle altre due ditte tiene due colloqui con le responsabili del personale che si potrebbero definire “massacranti” e con esito negativo. I colloqui o le tipe? Entrambi. Il ragazzo racconta di un interrogatorio pressante e particolareggiato, volto a sondare anche aspetti molto intimi della vita personale. Fosse per un posto di alta dirigenza, lo posso capire. Ma per una semplice qualifica di operaio, mi pare eccessivo. E allora? Che si fa? Ci si accontenta del lavoro a chiamata? E dall’altra parte? Si continuano a criticare i giovani che non hanno voglia di lavorare e poi davanti alla disponibilità e all’impegno si passa al candidato successivo senza nemmeno metterlo alla prova? Un concetto del lavoro vagamente “paternalista”, che frena il passaggio alla vita adulta e procrastina quella che viene definita “adultescenza”.

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Pubblicato da Tiziana Tomasini

Nata a Trento ma con radici che sanno di Carso e di mare. Una laurea in materie letterarie e la professione di insegnante alla scuola secondaria di primo grado. Oltre ai grandi della letteratura, cerca di trasmettere agli studenti il piacere della lettura. Giornalista pubblicista con la passione della scrittura, adora fare interviste, parlare delle sue esperienze e raccontare tutto quello che c’è intorno. Tre figli più che adolescenti le rendono la vita a volte impossibile, a volte estremamente divertente, senza mezze misure. Dipendente dalla sensazione euforica rilasciata dalle endorfine, ha la mania dello sport, con marcata predilezione per nuoto, corsa e palestra. Vorrebbe fare di più, ma le manca il tempo.