Salvare il cinema con l’amarcord?

C’è uno strano fenomeno in atto da qualche tempo: per contrastare l’assenza di pubblico nelle sale cinematografiche, si è tornati a proiettare sempre più vecchi film. Non si dà allo spettatore più solo l’ultimo prodotto, passato ai festival o fresco di distribuzione, ma lo si rimpinza con la più confortevole delle scelte: il “classico”, il lungometraggio che gli riscalda il cuore. È una strategia – si suppone, visto che continua ad essere perseguita – vincente, che trascina in sala i vecchi fruitori del “cinema che non è equiparabile a nient’altro, che è solo ed esclusivamente quello con la poltroncina rossa” alla ricerca dell’esperienza amarcord, ma anche i nuovi appassionati – perché per quanto pochi, ci dovranno pur essere anche i giovani che si innamorano della settima arte – per una nuova-vecchia fruizione. Eppure, se è comprensibile la strategia di marketing che riporta in sala le pietre miliari della storia del cinema e i grandi registi, sfugge un po’ la direzione che si sta percorrendo più di recente: guardando il calendario delle uscite del prossimo mese, ci si trova davanti una retrospettiva su Makoto Shintai, ma anche qualche ritorno di cinema francofono degli ultimi decenni, “Essere e avere” di Nicolas Philibert (2002) e “Toto le Héros” di Jaco Van Dormael (1991). Non siamo più, qui, di fronte alla pellicola che scatena nostalgia da un lato e un senso di necessità della visione dall’altro; siamo di fronte a film della contemporaneità, che si sceglie di tornare a proporre sulla scia di un recente successo o di un nuovo investimento. Ma ha senso? Aveva funzionato, la scorsa estate, portare in sala la retrospettiva delle più belle produzioni dello Studio Ghibli e di Hayao Miyazaki, eppure, l’opera di Shintai – per concentrarci su quella – è qualcosa di molto diverso. Regista contemporaneo, Shinitai ha firmato anime come “5 cm al secondo”, “Il giardino delle parole” e “Your Name”. L’ultimo, in particolare, parte da un espediente dei più abusati del cinema, lo scambio di corpi, per far vivere a Taki, uno studente delle superiori di Tokyo, e Mitsuha, sua coetanea intrappolata nella vita monotona di un paesino di montagna, una vicenda alla costante ricerca di qualcuno, alla costante presa con un vuoto, nel costante legame – come un filo rosso – dell’uno con l’altra. Un film di qualità che pure, va ammesso, un capolavoro della storia del cinema non è, vuoi anche solamente per una sceneggiatura che non brilla. Un film che, peraltro, trova spazio sulle varie piattaforme di streaming da anni e che sarà con ogni probabilità stato visto da molti. Qual è la scelta alla base, dunque? Dopo il successo di “Suzume” all’ultima Berlinale (uscito in sala a fine aprile) pare evidente che l’espediente è quello di portare in sala una retrospettiva (ma incompleta) del regista. È una strategia che funziona con qualsiasi autore? Quanto si sta mirando ad un campo eccessivamente di nicchia? Che i tentativi di far rivivere le sale stiano cominciando ad essere un po’ “alla cieca”?

Lezione sull’infanzia e sulla solidarietà

Tra i film portati al cinema la scorsa estate da Lucky Red nella sua retrospettiva su Miyazaki, “La città incantata”. Il lungometraggio del 2001 racconta la storia di Chichiro e di un luogo precluso agli adulti: la bambina è in macchina con i genitori, quando il padre imbocca la strada sbagliata entrando in quello che pare un parco divertimenti dismesso. Dei tre, Chichiro è l’unica ad avvertire la stranezza del posto e, dopo che in un attimo i genitori vengono trasformati in maiali, si troverà a dover sopravvivere nel regno di una maga che toglie il nome ai suoi sudditi per renderli prigionieri. Una lezione sull’infanzia, sulla solidarietà, sull’amore, sul fronteggiare le proprie paure per crescere, la cui poeticità combacia perfettamente con i disegni delicati e ricchi di dettagli di Miyazaki. 

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Pubblicato da Katia Dell'Eva

Laureata in Arti dello spettacolo prima, e in Giornalismo poi, nel quotidiano si destreggia tra cronaca e comunicazione, sognando d’indossare un Fedora col cartellino “Press” come nelle vecchie pellicole. Ogni volta in cui è possibile, fugge a fantasticare, piangere e ridere nel buio di una sala cinematografica. Spassionati amori: Marcello Mastroianni, la new wave romena e i blockbuster anni ‘80.