Un ebreo a Moena, dalla Grande Guerra alla Shoah

Ingegnere, ebreo, ufficiale dell’esercito imperialregio, tragicamente deportato ad Auschwitz, la storia di Löwy si intreccia più volte, tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale con quella delle popolazioni ladine di Val di Fassa e Fiemme, in particolare con gli abitanti di Moena, città di cui fu “cittadino onorario”.

Richard Löwy nasce in un borgo vicino Praga nel 1886. Studia ingegneria civile a Vienna e nel frattempo si è arruolato come aspirante allievo ufficiale nell’esercito. L’esperienza trentina di Löwy ha inizio il 16 gennaio 1912, quando viene trasferito nella caserma del Genio militare di Trento. Sarebbe una tranquilla carriera militare la sua se il 28 giugno del ’14 Gavrilo Princip non desse fuoco alle polveri assassinando a Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando. L’Europa comincia a prendere fuoco.

Nelle località dolomitiche, ove si costruiscono alacremente fortificazioni e trincee, occorrono ingegneri e buoni comandanti. Richard Löwy è l’uno e l’altro. Per questo viene nominato comandante a Moena, a due passi dal confine con l’Italia. Moena è una specie di città fantasma uccisa dalla miseria, popolata solo da donne e bambini; gli uomini abili e arruolati sono stati mandati al fronte, in Galizia. È in questo periodo che Löwy comincia a manifestare il suo altruismo e la sua voglia di aiutare le popolazioni locali. Tante sono le sue iniziative a favore delle donne e dei ragazzi, a cui procura una fonte di reddito facendoli lavorare per conto dell’esercito. E i fassani cominciano a voler bene a questo raffinato e intraprendente tenente dai modi gentili, con gli occhialini pince-nez ed i baffetti ben curati. Tra le altre cose, Löwy favorisce il richiamo di combattenti dal fronte, aiuta gli indigenti, organizza perfino un lazzaretto per gli ammalati di tifo in seguito ad una violenta epidemia. Il 10 dicembre, siamo nel 1916, il consiglio comunale di Moena conferisce a Löwy la cittadinanza onoraria e delibera di regalargli, per l’occasione, un orologio d’oro. Ma non ci sono solo meriti civili per il tenente, dato che è appena stato decorato con il “Signum Laudis” di Francesco Giuseppe, il massimo riconoscimento imperiale per gli ufficiali in guerra.

da sinistra: il daziere Pelin, la maestra Valeria Jellici, Johanna Liebgold Löwy, Richard Löwy, Martha Löwy Riesenfeld, Hermann Riesenfeld

Ma, onorificenze o no, per gli austro-tedeschi è la disfatta. Il Piave si rivela insuperabile. Gli italiani vincono la guerra. Richard Löwy trentaduenne, appesa la divisa al chiodo, torna a Vienna con la famiglia. Di cosa egli faccia durante il periodo tra le due guerre sappiamo ben poco. Sicuramente non se la passa benissimo, considerando che quando, nel 1929, si sposa con la farmacista ebrea Johanna Liebgold, va ad abitare in casa della moglie come “subaffittante”. La vita scorre tranquilla, senza alti né bassi, per quasi due lustri. Ma la mattina di sabato 13 marzo del 1938 i carri armati del Terzo Reich invadono l’Austria accolti festosamente dalla popolazione. L’ombra cupa del razzismo si stende sul Paese. Gli ebrei vengono perseguitati, privati di ogni diritto civile. Il 16 agosto, l’ingegner Löwy abbandona Vienna assieme alla moglie e trova rifugio a Moena, ove la maestra Margherita Costa, ancora memore di quanto bene egli fece durante la Prima Guerra, gli mette a disposizione un appartamento in una casa di sua proprietà.

Löwy è praticamente povero, tutti i suoi averi sono stati requisiti dal Reich. Fa dei lavoretti per sostentarsi quanto basta (lavori tecnici, traduzioni, ecc.) e familiarizza nuovamente con la gente ladina, rivede uomini e donne conosciuti più di vent’anni prima. Sono tante le testimonianze che ancora oggi ricordano questo trentenne sempre sereno e pieno di dignità nonostante l’esilio. Ma per gli ebrei ormai sono tempi duri pure nel Regno d’Italia.

Ai primi di luglio del 1940, Richard Löwy, la moglie e il cognato vengono arrestati e trasferiti nelle carceri di Trento, in attesa di essere inviati al campo di concentramento di Notaresco, in Abruzzo. Alla sorella Martha viene concesso di restare a Soraga ad assistere la madre gravemente ammalata.

I moenesi sono scioccati dall’arresto del loro “cittadino onorario”. Fanno di tutto per essergli in qualche maniera vicini. Gli inviano generi di conforto e cibo senza soluzione di continuità. Tengono al corrente lui e sua moglie sulle novità del paese grazie ad una fitta corrispondenza, speranzosi in attesa di un loro ritorno.

Il ritorno avviene il 17 febbraio del 1941, quando Richard, Johanna e il marito ricevono un foglio di via per recarsi al capezzale della mamma morente. Purtroppo giungeranno a casa due giorni dopo la sua dipartita.

Intanto, la situazione per gli ebrei del Regno si è fatta drammatica. I Löwy riescono a tirare avanti grazie alla solidarietà della gente di Moena che di Leggi Razziali non ne vuole sentir parlare. Per sicurezza, temendo che prima o poi il paese sarebbe stato presidiato dalla gendarmeria tedesca, l’ingegnere decide di trasferirsi a Someda in casa di un amico. È in quella casa, che all’alba del 4 gennaio 1944 i tedeschi arrestano i Löwy. Le testimonianze narrano di un carro con i prigionieri che attraversa il paese salutato dalla gente in lacrime. Eppure il sospetto che qualche paesano li abbia traditi, dando ai tedeschi l’indicazione della loro residenza, è forte.

L’ultimo viaggio i Löwy lo compiono dal Lager di Fossoli ad Auschwitz, nel convoglio zero-otto, lo stesso che trasporta Primo Levi. È il 22 febbraio. Il convoglio giunge a destinazione quattro giorni dopo, e dei Löwy non si hanno più notizie. Secondo qualcuno, Richard e sua moglie non giungono a destinazione: si sarebbero suicidati col veleno che la signora Johanna teneva in un anello, all’interno di una grossa pietra gialla.

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Pubblicato da Tina Ziglio

Concetta (Tina) Ziglio è nata sulle montagne in una notte di luna piena. Anziché ululare, scrive per diverse testate e recita in una sgangherata compagnia teatrale. Il suo ultimo libro è il discusso “Septizonium” (Aleppo Publishing, 2019).