Flavio Deflorian: “La solitudine conta, ma da soli non siamo nulla”

©UniTrento ph. Pierluigi Cattani Faggion

Ha cominciato a lavorare sulla scia del periodo pandemico. Il green pass, le contestazioni sull’obbligo vaccinale, eccetera… insomma, questioni delicate che ha saputo affrontare con garbo e gentilezza. Originario della Valle di Fiemme, appassionato dell’Islanda, gli abbiamo chiesto di fare il punto su questi primi due anni di rettorato. Porgendogli anche qualche quesito un po’ “scomodo”.

Rettore, come sono andati questi primi due anni di lavoro?

Sono andati bene. C’è stata prima una fase di rodaggio, ovviamente, ma io già svolgevo il ruolo di prorettore, e quindi conoscevo le dinamiche, avendo svolto le funzioni di vice. Una cosa però è essere vice, un’altra è fare quello che faccio ora. Nei primi mesi ho dovuto prendere le misure, anche perché appena arrivi tutti, legittimamente, vogliono parlare con il nuovo rettore. La comunità accademica è grande: ottocento docenti, sedicimila studenti, tutto il personale… mi sono trovato con giornate senza respiro. Poi ho imparato a gestire il mio tempo al meglio.

La squadra del rettorato e quella che ho scelto mi ha poi aiutato molto, sia all’inizio sia ora, che per problemi di salute spesso lavoro da remoto. Le persone che ho selezionato sono state una scelta felice, per il clima che hanno creato e per l’impegno che hanno messo. Avere dei collaboratori efficaci, anche in segreteria, semplifica il lavoro. Poi ho trovato un clima positivo e collaborativo nei miei confronti… per ora le cose vanno bene.

 

1991, a sinistra in piedi, agli inizi della carriera accademica

Con la moglie Luisa e le due figlie Linnea e Noemi

Se lo aspettava diverso, il lavoro? Qualcosa l’ha colpita?

Lo conoscevo già bene, appunto. Quello che forse mi ha colpito di più è stata la differenza tra l’essere una squadra e l’essere quello che decide in ultima istanza, perché la responsabilità a volte è impegnativa. Questa è stata la principale novità. In realtà comunque siamo collegiali, come ruolo. Il rettore fa riferimento alle strutture dell’ateneo, non è comandante in capo. A volte, però, ci si deve assumere responsabilità, anche pesanti: la coda del Covid ovviamente era una cosa nuova, non prevedibile, e non è stato facile affrontarla. Il green pass, le contestazioni sull’obbligo vaccinale, eccetera… insomma, questioni delicate, con diverse opinioni spesso difficili da conciliare. Il mio ruolo ovviamente era quello di rispettare le opinioni di tutti, favorire un clima sereno, ma anche di far rispettare le leggi, e in questo senso ho agito.

È soddisfatto e ottimista della direzione presa con la Scuola di Medicina? Che impatto ha avuto sull’Università di Trento?

Ottimista sì, devo esserlo per contratto! Abbiamo segnali positivi e alcuni che ci danno apprensione. Il corpo docenti sta crescendo. Pochi minuti fa ero in chiamata con un nuovo professore, che ha preso servizio oggi. Il gruppo dei medici sta crescendo e gli studenti procedono bene. Rimangono punti aperti: la nuova sede, perché siamo in attesa dell’edificio che sarà a Trento Sud, e poi le nuove sfide, come le scuole di specializzazione; cercheremo di attivarle su settori strategici per il territorio, ma anche  settori rispetto ai quali abbiamo competenze ed esperienze pregresse, come quella in Neuroscienze a Rovereto. Altra sfida sarà potenziare le professioni sanitarie con l’Università di Verona. Saremo sempre più attivi anche su quello, perché prima e poi ce ne faremo carico direttamente. Tutto procede, insomma, però dobbiamo stare concentrati, sul pezzo, per queste nuove sfide.

Com’è il suo rapporto con la città di Trento? Ci ha studiato, giusto? So che poi ha viaggiato molto.

Io vengo dalla val di Fiemme, e quindi quella è stata la mia prima casa. Una svolta è avvenuta con la nascita delle mie due figlie, che sono cresciute qui, e quindi ora Trento è casa mia: vivo in città da trent’anni, ormai. Torno spesso in valle, ma la mia vita è qui. Non posso che essere grato a questo luogo che mi ha permesso di vivere bene finora, anche con la mia famiglia. Attualmente abito a Villazzano, che è quasi un piccolo paese autonomo, e vivo la sua comunità. Sono grato perché mi sono sentito integrato, e così si è sentito anche il resto della mia famiglia. La qualità della vita a Trento, come noto, è ottima.

In realtà già precedentemente avevo vissuto a Trento, perché a sedici anni ho iniziato il triennio liceale al Galilei, per cui la mia storia si è svolta per la maggior parte qui, tranne per alcune parentesi, cioè i periodi a Bologna, Bolzano e in Regno Unito.

Con il braccio fratturato, durante un convegno in Brasile, 25 anni fa

Ziano di Fiemme, 1970 ca., con il padre Alfiero, la sorella Licia ed il cane Niki

Trento oggi vive una doppia o forse tripla natura: città borghese di eventi, città per turisti e città universitaria. È sostenibile questa ambiguità? Qual è la sua posizione?

Queste sfaccettature possono essere la ricchezza della città: è bello che Trento abbia più vocazioni. È un dato di fatto che sia una città universitaria, visti i sedicimila studenti; di questi, poi, due terzi vengono da fuori regione, e sono molti anche i trentini che arrivano dalle periferie della provincia.

Nello stesso tempo assistiamo anche all’aumento del numero dei turisti, in una fase con numerosi eventi. Questi eventi possono convivere con l’università? Forse. Dipende da come si gestiscono. C’è sicuramente un problema di alloggi, legato ai turisti e quindi agli affitti brevi. Gli eventi arricchiscono senza dubbio la città, però vanno gestiti con attenzione e con le giuste riflessioni. Non rinuncerei a priori a nessuna di queste identità di Trento. Noi non sappiamo come sarà il futuro, e puntare in un’unica direzione non è saggio: meglio lasciare aperte tutte le strade e aprirne eventualmente di nuove. Il dialogo con la Provincia e il Comune, su questo tema, è comunque positivo.

In molti sostengono oggi che si stiano esageratamente allungando le carriere, e quindi il periodo di tempo che gli studenti passano a studiare. La laurea triennale è forse diventata quasi un nuovo esame di maturità?

È opportuno confrontarci anche con il resto d’Europa. Se ci guardiamo attorno notiamo che nel paragone i nostri numeri sono addirittura bassi, per gli iscritti alle triennali. La crescita del numero di chi continua gli studi post diploma non deve sorprendere, perché avviene così ovunque. Le competenze richieste sono in crescita, e questa è una semplice conseguenza. Tra l’altro oggi ci si laurea più in fretta rispetto a decenni fa: i tempi previsti sono spesso rispettati. Finiti gli studi, poi, sappiamo che l’attività lavorativa si protrarrà per tempi più lunghi. Tre anni di formazione in più, se poi si lavora per cinquant’anni, ci possono stare. È in linea con il resto dell’Europa.

Il problema urgente, in questo senso, è orientare bene la scelta delle lauree triennali, affinché sia volta verso una formazione utile per il mondo del lavoro. Gli studenti e le studentesse oggi cercano competenze e conoscenze più ampie, proprio per non affrontare scelte troppo definitive. In molti casi si preferiscono quindi corsi generici, e in questo senso sì, si può dire che alcune lauree sembrano una prosecuzione del liceo. Quello che noi sappiamo è che, come è cambiato il mercato del lavoro negli ultimi anni, così cambierà ancora di più nei prossimi. Non so se sia vero, come alcuni dicono, che molte professioni spariranno o cambieranno del tutto, ma di sicuro saranno diverse le professionalità. Quello che noi cerchiamo di fare non è dare competenze specifiche, ma fornire strumenti per mantenersi aggiornati anche successivamente, contribuendo alla formazione permanente più che a quella dettagliata, che verrà presto superata. Un aumento dalle triennali, quindi, non lo vedo come negativo, anzi, se è volto verso strumenti per aggiornarsi.

In Islanda, sua grande passione, con moglie e la figlia Linnea

Cambiamo argomento. Ho sentito che lei ha una passione per l’Islanda. È così? 

Sì, è una passione che ho da tanto tempo. Ho letto da ragazzo un libro su quest’isola e mi sono fatto un’idea. Nel mio immaginario aveva qualcosa di misterioso, perché era difficile da raggiungere. 

Mi affascinava poi l’idea di un luogo grande e disabitato. La capitale è grande come Trento, per capirci. Poi mi sono appassionato alla letteratura islandese, in particolare con Gente indipendente di Laxness, autore che ha vinto il Nobel per la Letteratura, non per niente… 

Solo più di recente, alcuni anni fa, ci sono andato di persona. Avevo un po’ il timore, partendo per l’Islanda, che vedendola dal vivo mi crollasse il mito, però ho rischiato: qualche anno fa, per un compleanno di mia moglie, abbiamo deciso di andare lì con le nostre figlie. Siamo partiti in inverno, e tutte le aspettative che avevamo sono state rispettate. Pensavo che le mie figlie si sarebbero annoiate a morte, invece sono rimaste affascinate da quel clima particolare. Mia figlia l’inverno scorso ha fatto l’Erasmus  proprio lì, e sono andato a trovarla; per ora quello è stato il mio ultimo viaggio in Islanda.

Ha quindi una sua particolare concezione della vita solitaria? Le piace? 

Sì, direi che questa passione non è un caso. Non si può parlare di Islanda senza parlare di solitudine. Gli islandesi sono però anche socievoli: i contatti sono preziosi perché non sono scontati, e questo mi affascina.

Nella solitudine poi rimane vivo un rapporto speciale con l’ambiente naturale. Già da Leopardi l’Islanda è vista come spazio di confronto privilegiato, anche se impari, tra uomo e natura. È un luogo che mi riporta a una dimensione più vera. 

A livello sociale, invece, c’è un ideale specifico che segue?

Se dovessi provare a cercare un minimo comune denominatore in tutte le cose che ho fatto, sarebbe il privilegiare le relazioni con le persone.

Ho insegnato in università tutta la vita, ed è un bel mestiere.  Permette di dedicarsi allo studio di argomenti nuovi mantenendo un contatto con gli studenti, con i giovani. Credo sia quindi un lavoro privilegiato. Ho sempre cercato di mantenere viva la curiosità, sia nell’insegnamento che nel lavoro come Rettore, e soprattutto ho cercato di approfondire le relazioni umane con tutte le persone con cui sono stato a contatto. 

La solitudine è importante, ma da soli non siamo nulla. Siamo le relazioni che abbiamo. Siamo come il punto in geometria, mi viene da dire, che non costruisce un poligono o un solido senza congiungersi con altri. Si parte sempre dai singoli, ovviamente, ma essi hanno significato solo nelle relazioni. Quello che ho sempre cercato di fare è sviluppare questi contatti sia nel lavoro che nella vita quotidiana: questo è quello che vedo come tratto comune in tutta la mia attività.

©UniTrento ph. Federico Nardelli

Domande fisse

Il libro che sta leggendo? “Oscura e celeste”, di Marco Malvaldi.

Il suo numero preferito? Il 7.

Il suo colore preferito? Verde.

Il piatto che ama di più?  Patate lesse e formaggio.

Il film del cuore? “Le onde del destino”, di Lars von Trier.

La squadra di calcio che tifa? Juventus, da sempre.

L’automobile preferita?  Nessuna. Cito l’Alfa Romeo perché piace a mia moglie.

Il viaggio che non è ancora riuscito a fare? Groenlandia o isole Svalbard.

Ha animali domestici? Una cagna e una gatta.

Cantante, compositore o gruppo preferito? Van Morrison.

Se non avesse fatto quello che ha fatto, cosa avrebbe voluto fare? Credo che sarei diventato ingegnere in un’azienda.

La cosa che le fa più paura? Perdere la fiducia nel futuro. Perdere una visione che mi faccia vedere la possibilità di migliorare le cose.

Il difetto che negli altri le fa più paura? L’atteggiamento di superiorità. Sto attento a non assumerlo mai. Più che paura, però, mi dà fastidio.

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Pubblicato da Alessandro Zanoner

Nato a Trento nel 1993, insegnante di italiano, latino e storia nelle scuole superiori. Suonatore di strada con umili tentativi da cantautore e scrittore. Mi piacciono la montagne e il Mar Tirreno; viaggio con una buona frequenza, soprattutto in centro Italia. Un pomeriggio a Roma una volta all'anno, minimo. Pavese, Moravia ed Hermann Hesse i miei autori preferiti in narrativa. Per la musica De Gregori, Vinicio Capossela, Lucio Battisti e Giovanni Lindo Ferretti.