Il senso di un anno sabbatico dopo il liceo

Sempre più ragazzi affrontano un anno sabbatico prima di iniziare l’università. Questo fenomeno, un tempo raro, si è diffuso maggiormente anche a causa del Covid, che oltre a rallentare l’economia ha anche bloccato lo sviluppo sociale e quindi lo sviluppo psicologico di tanti giovani: di fatto, affrontando meno esperienze, alcuni sono rimasti più piccoli. Essere più “piccoli”, in un mondo che già di per sé non favorisce la responsabilizzazione, rende difficile prendere una strada netta dopo il liceo. Addentrarsi in un percorso significa molto probabilmente escludere per sempre tutti gli altri, e questo genera una certa paura, soprattutto in chi non ha uno straccio di idea di cosa vuole fare da grande. 

Ironicamente le università sembra stiano facendo di tutto per creare corsi triennali il più generico possibile, proprio nell’ottica di far sentire lo studente ancora in un limbo, con gli orizzonti ancora tutti aperti. Tanti giovani, però, e non si parla solo di quelli che hanno vissuto la pandemia durante le superiori, oggi hanno le idee così poco chiare che non sanno neanche se scegliere un’università scientifica o una umanistica, o nessuna delle due. Se tra le varie opzioni uno studente non sa scegliere tra Giurisprudenza, Medicina e Fisica, gli serve sicuramente un po’ di discernimento.

Tralasciando però le cause di questa tendenza e i possibili responsabili (poco orientamento nelle scuole superiori, ad esempio), proviamo a dire qualcosa di utile per chi sceglie questa via; ci sono partiti diversi in questo senso, e ho conosciuto personalmente molte famiglie che hanno osteggiato con forza la scelta del proprio figlio, e altre che invece hanno quasi spinto la prole a partire e a non affrettare subito la vita universitaria. 

La domanda alla base è chiara: se mi fermo, perché mi fermo? (il concetto di fermarsi è brutto, ma lo intendiamo qui nel senso comune, che vede nella carriera lavorativa un percorso lineare). Sarebbe sensato mi “fermassi” per vivere esperienze significative utili a capire i miei interessi, i miei talenti e in generale per allargare la prospettiva sul mondo che mi circonda. Se queste sono le motivazioni, un anno sabbatico serio credo debba avere le seguenti prerogative: essere vissuto all’estero, o perlomeno in una città lontana e diversa dalla propria; svolgersi in un contesto in cui si possano mettere in gioco alcune delle proprie qualità, per verificarne il livello e la tenuta; svolgersi in un contesto che permetta di valutare i propri interessi specifici in un ambito di riferimento. 

Non è detto che queste tre prerogative debbano convivere contemporaneamente per un anno intero, perché possono anche avvicendarsi: si potrà lavorare un periodo in un contesto, poi svolgere un tirocinio in un altro e poi viaggiare per un periodo, se non si riesce a fare tutto assieme. Separare l’anno totalmente dal proprio percorso, invece, può essere rischioso: fare il cameriere  per mesi a Londra o Berlino sicuramente sarà un’esperienza bella e importante, ma difficilmente mi aiuterà a capire se voglio fare l’ingegnere o il magistrato, e non si deve neanche sottovalutare il cambio di routine: abituarsi a una vita di viaggi o di lavoro salariato renderà piuttosto duro l’impatto con l’università, e quindi un ritorno a una certa statica e a una dipendenza economica dai genitori. Insomma, l’anno sabbatico di riflessione può essere utilissimo, se fatto con un po’ di criterio.

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Pubblicato da Alessandro Zanoner

Nato a Trento nel 1993, insegnante di italiano, latino e storia nelle scuole superiori. Suonatore di strada con umili tentativi da cantautore e scrittore. Mi piacciono la montagne e il Mar Tirreno; viaggio con una buona frequenza, soprattutto in centro Italia. Un pomeriggio a Roma una volta all'anno, minimo. Pavese, Moravia ed Hermann Hesse i miei autori preferiti in narrativa. Per la musica De Gregori, Vinicio Capossela, Lucio Battisti e Giovanni Lindo Ferretti.